Disperazione di Israele

Netanyahu ha vinto ancora una volta

Non siamo riusciti a liberarci di Netanyahu nemmeno questa volta. E si che ci si sperava, perché i sondaggi a poche ore dal voto lo davano sotto la coalizione di sinistra moderata di Herzog. C’era più di una ragione per chiudere definitivamente il ciclo politici di Bibi. Intanto la famiglia che mostra una leggerezza nei confronti del denaro dello Stato che da sola farebbe si che valesse la pena di lasciarlo a casa. Poi la crisi economica del Paese, in Israele le cose non vanno benissimo e la popolazione ne risente. Infine l’assenza di una strategia politica, Netanyahu vede solo un braccio di ferro permanente con i palestinesi e l’Iran e oramai si dubita apertamente che possa vincerlo. Trascuriamo una campagna elettorale condotta al limite dell’insopportabilità, per cui tutti sono bambini stupidi e lui l’unico affidabile. Niente da fare, Obama dovrà mandargli un messaggio di congratulazioni e lo stesso dovranno fare le capitali europee, quelle magari in cui si sostiene il diritto dello Stato palestinese, che non solo Netanyahu si ostina a negare, ma se ne frega anche delle risoluzioni Onu contro i nuovi insediamenti in Cisgiordania, che vuole mantenere e se occorre farne altri. Ci deve essere una ratio disperata perché Israele continui a votarlo e questa è purtroppo la verità. Israele è un paese disperato che ha visto crescere anche al suo interno una coalizione araba al 13%, quasi la promessa di una minaccia all’interno della sua stessa identità ebraica. Gli arabi oggi sono il venti per cento della popolazione in Israele, vantano un risultato storico e nel domani potrebbero diventare la maggioranza, un paradosso democratico. La paura fa stringere la popolazione alla destra, senza soluzioni di continuità e Netanyahu sta per superare i nove anni di governo, meglio di lui solo Ben Gurion, che però, al contrario, rappresentava la speranza. Quella che la maggioranza degli israeliani non ha più, confidando solo sulle armi. Netanyahu userà tutte quelle di cui dispone, fino all’ultimo respiro. Poi monti pure la marea araba.

Roma, 18 marzo 2015